18/10/2004

salamauri

"Quante ne abbiamo passate," attaccò il primo.
"Puoi dirlo," commentò il secondo.
"I signori vengono da lontano?" chiese educatamente il barista.
"Dall'Ouellé," disse il primo.
"Guarda, guarda," commentò sottovoce Epaminondas.
"Quante ne abbiamo passate," ripeté il secondo. "Ce ne dia un altro."
"Sembra che il caldo sia in anticipo, quest'anno," osservò educatamente il barista.
"Cavolo," disse il primo, "quasi si liquefacevano le gomme. Sei stato bravo, Henri." Si rivolse al barista: "Guida lui, è un asso."
"Complimenti," fece il barista sbadigliando.
"Non esagerare, Legrand," disse Henri.
"No," disse Legrand, "è davvero un asso."
"E la caccia è stata buona?" chiese il barista.
"Una lince, piccola," disse Legrand, " e poi un'antilope. Ma non abbiamo cacciato molto."
"Sì," disse Henri, "abbiamo sparato sempre dalla pista, per forza, si sollevano nuvole di polvere, e la selvaggina non è mica fessa..."
"Per forza," convenne il barista.
"Quattrocento chilometri di pista," disse Legrand, "Henri, sei stato bravo. Sa, il difficile è avere pazienza. Quaranta all'ora per quattrocento chilometri, significa mettere la pazienza a dura prova."
"Quando non si mette?" chiese Anna che cominciava a interessarsi alla conversazione.
"Cosa?" disse Henri sbirciandola.
"La pazienza a dura prova."
"La signora la sa lunga," commentò Legrand in tono galante.
"Questo proprio no," disse ridendo Epaminondas che era arrivato al terzo whisky.
"Una svista," spiegò Henri, "e ci si impantana e dopo, molto dopo, bisogna aspettare gli amici..."
"A penarci, è terribile," disse Anna.
"Cosa è terribile?" chiese Legrand, sospettoso.
"L'idea che potreste non essere qui," fece Anna, "a bere il vostro whisky."
Legrand cominciava a guardarla male, ma Henri gli fece cenno di restare calmo. Anna sorrideva con aria gentile.
"Lei è certo di Parigi," disse, "le parigine, hanno la battuta pronta, si riconoscono subito."
"Comunque," disse Epaminondas, che cominciava anche lui a innervosirsi, "è vero che la vita è una prova di pazienza."
"Trovi?" chiesi ad Anna.
"Così dicono," fece lei sottovoce.
"Quando pisciavo," continuò Henri, "sollevavo una nuvola di polvere. Un altro," disse, rivolto al barista.
"A me," disse il barista, "da otto anni che sono qui, piacerebbe una volta tanto pisciare nel ghiaccio."
"A chi lo dice," fece Henri. "Un bel ghiaccio spesso, è il massimo. Quaranta gradi, a Toutana, altro che ghiaccio."
"Io," disse Legrand, "ho sempre preferito il caldo al freddo. Qui ce n'è anche troppo, eppure continuo a preferirlo."
"Strano," osservò il barista.
"Invece io no," disse Henri, "no e poi no, un tempo anch'io la pensavo così, ora non più."
"Cosa darei, Dio santo, per pisciare sul ghiaccio," continuò il barista.
"Si dice così," fece Epaminondas, "e poi succede come per le altre cose. Non ha niente di straordinario, quando ti capita."
"Puoi dire quello che vuoi," disse Henri, "ma l'era glaciale non doveva essere molto divertente..."
"Non c'era nessuno per constatarlo," disse il barista sbadigliando, "quindi..."
"Siete sicuri che non ci fosse nessuno?" chiese Epaminondas interessato.
"Ci dovevano essere almeno degli animali," osservò Anna.
"E gli animali, non sono nessuno?" chiese Henri.
"Non credo," mormorai, "mi pare che non ce ne fossero."
"Non è possibile," disse Anna, "magari degli animali piccoli piccoli," aggiunse puerilmente.
"Non credo," ripetei.
"L'hai vista tu, la Mer de Glace?" chiese Henri a Legrand.
"Eccome," disse Legrand. "Nel '36. Erano bei tempi. La stranezza è che ci sono le onde, come se il ghiaccio si fosse formato a un tratto, in un colpo solo."
"Sei sicuro che non ci fosse niente?" insisté Anna. "Neppure un cudù?"
"Ebbene," disse Henri, "Nell'era glaciale tutta la terra era come la Mer de Glace."
"Secondo me," continuò Anna, "sotto il ghiaccio c'erano degli animaletti che aspettavano che si sciogliesse."
"L'idea non mi piacerebbe," dissi, "e poi, in fondo, chissà, forse c'era già di tutto."
"E' impossibile che non ci fosse niente," dichiarò energicamente Epaminondas, "perchè allora, come si spiega che poi ci siano stati un sacco di animali?"
"E' buffo," disse il barista, "quando il termometro raggiunge i quaranta all'ombra, si parla spesso dell'era glaciale."
"E' vero," continuò Anna, "come si spiega tutto quello che c'è adesso?"
Mi sorrideva.
"Zitta," le dissi a bassa voce, "ti infervori sempre così?"
"Se non te ne sei accorto, cosa ti ci vuole..." disse ridendo Epaminondas.
"E' difficile sopportare questa idea," fece Anna. "Non trovi?"
"La sopportano tutti, e non solo questa. Non puoi immaginarti cosa sopporti io, in questo momento..."
"Se è così che vi date da fare," osservò Epaminondas indignato.
"Qualcosa non va?" chiese Henri a Legrand.
Legrand aveva gli occhi semichiusi e un'espressione estatica.
"Aspetta," fece Legrand.
"Forse non si sente bene," disse il barista.
"Allora?" chiese Henri in tono preoccupato. "Parla."
"Aspetta un attimo," ripeté l'amico.
"Se c'è il rischio che cada," osservò Anna, "forse sarebbe meglio levargli il bicchiere di mano."
"Salamauri," sbraitò Legrand, "ecco la parola che cercavo."
"Gli capita spesso?" domandò Anna.
"Nell'era glaciale, c'erano i salamauri," disse Legrand felice.
"E' fatto così," spiegò Henri, "sembra un bravo ragazzo, semplice e tutto, ma è un intellettuale, mica un coglione."
"Vedi," disse Legrand, "è salsa, salamoia, che mi ha fatto ricordare..."
"Se sapeva che fa così," disse Anna a Henri, "ci poteva avvertire."
"Non sopporto quando non mi viene una parola," continuò Legrand. "Nell'era glaciale, il mondo non era popolato di salamauri."
"Lo vedi," mi disse Anna, "che qualcosa c'era."
"Di sauri, credo," corressi.
"Mi pareva," fece il barista, "è la parola salamoia che inganna. Per me comunque, fa lo stesso."
"E va bene, sauri," disse Legrand un pò avvilito.
"Allora?" insisté Anna. "C'erano o no?"
"Non lo so," le dissi a voce bassa.
"I sauri, sono sicuro che c'erano già," decretò di colpo Epaminondas.
"Non siamo tenuti a crederle," disse Legrand con dignità.
"Lo sapevi, tu?" chiese poi a Henri.
"Veramente," disse Henri, "se c'era solo ghiaccio, cosa sgranocchiavano i sauri?"
"Sono grandi i sauri?" mi chiese Anna.
"Grandissimi," dissi, "assomigliano ai coccodrilli."
"Per il cibo," disse Legrand, "ci si abitua a tutto, è risaputo. Se c'è solo ghiaccio, si mangia ghiaccio, ecco."
"Se i sauri sono grandi, credo proprio che non ci fossero, ma credo che invece ci fossero animali piccoli piccoli."
"Tanto, cosa cambia?" disse il barista. "Come mi piacerebbe pisciare almeno una volta sul ghiaccio."
"Piccoli piccoli," disse Anna, "piccoli quanto vuoi, ma dovevano esserci. Insettini. Cosa mangiano? Niente, e respirano appena, quindi possono rimanere a lungo sotto il ghiaccio..."
"La pianti di eccitarlo con i tuoi animaletti piccoli piccoli?" le disse Epaminondas.
"Se fosse soltanto con gli animaletti..." osservai.
"Ah ah!" shignazzò Epaminondas.
"Prima di tutto," disse Henri, "come si fa a sapere che non c'era niente?"
"Si sa. Ci tieni tanto?" chiesi ad Anna, "ai tuoi animaletti?"
"Non mi impediranno certo di dormire."
"Che cosa ti impedisce di dormire?" chiesi.
"Se continuate," disse Epaminondas, "io taglio la corda."
"Non mi impediranno di dormire," riprese Anna, "ma trovo l'idea quasi insopportabile."
"La sopportano tutti benissimo. Nessuno può spiegarlo, proprio nessuno. Calmati."
"Quando il ghiaccio si è sciolto," disse Henri, "doveva esserci una bella melma."
"Questo è sicuro, ma tanto, non c'era nessuno a vederla."
"Anche se ci fosse stato qualcuno," disse Anna.
"E' straordinario, se ci si pensa," fece Henri con aria di circostanza. "Ancora uno, André."
"Cognac? Si beve forte nell'Ouellé a giudicare da questi signori. Doveva esserci davvero una bella melma, lo penso anch'io."
"Allora," continuò Anna, "gli oceani si sono riempiti e gli animaletti che erano sotto i ghiacci sono usciti."
"Per fortuna che a queste cose non ci si pensa," disse l'amico, "succede come per il resto, si dimenticano."
"Per fortuna," ripeté Anna.
"Oh, per fortuna." Ripeté Epaminondas, ridendo rumorosamente.
"Davvero," disse il barista, "per fortuna."
"Figuriamoci," continuò Epaminondas, "con tutte le preoccupazioni che abbiamo."
In quel momento arrivò un nuovo avventore, sulla trentina, molto ben vestito.
"Ecco Jojo," disse il barista, "ora ci divertiremo."
"Buongiorno," fece Jojo.
"Buongiorno," risposero tutti.
Jojo andò a sedersi accanto a Henri e subito sbirciò Anna con occhio da intenditore.
"Ma allora i sauri," mi chiese Anna, "quando sono apparsi?"
"Sono arrivati dei sauri?" chiese Jojo.
"Sì," dissi, "due giorni fa."
"Tre," corresse Epaminondas.
"Lascia perdere," interloquì il barista.
"Che cavolo sono i sauri?" chiese invece Jojo.
"Uomini come gli altri," dissi, "ma tanto affamati che divorano tutto quello che trovano."
Nessuno reagì. Ognuno ascoltava senza capire, faceva troppo caldo per capire.
"Credo che anche stasera non si concluderà nulla," mi bisbigliò Anna.
"La prossima volta ci spiegheremo con un disegnino," disse Epaminondas.
"Che cavolo ci fanno qui i sauri?" insisteva Jojo.
"Ora basta," scattò Henri.
"Te lo spiego io," disse il barista. "Calmati."
"Non ci fanno un cavolo di niente," disse Anna ridendo, "anzi direi che è una vergogna."
"Erano grossi, grossi e brutti," disse il barista, "davano la caccia a tutto nei mari e sulla terra..."
"Proprio così," approvò Epaminondas, ridendo.
"Io non ne ho mai sentito parlare," disse Jojo.
"Oh, merda!" sbraitò Epaminondas. "Guardi che lei è l'unico."
"E gli uccelli, allora?" chese Henri.
"Sì," disse Anna, "credo che anche stasera non concluderemo nulla."
"Gli uccelli," dissi, "sono come l'amore, sono sempre esistiti. Spariscono tutte le specie, ma non gli uccelli. Come l'amore."
"Ho capito," fece Epaminondas, "Se hai le ali," spiegò, "puoi scampare al terremoto."
"Formidabile," commentò Henri. "Un altro," disse al barista. E continuò: "a quanto pare, spariremo anche noi. Beve qualcosa?" mi chiese. "E la signora? Cinque, André, ti chiami André, vero? Sì, cognac."
"Speriamo di no," disse Epaminondas, "speriamo di non scomparire."
"Ma di sauri, ce ne sono ancora?" chiese Jojo.
"Chissà?" dissi.
"Come mi diverto," commentò Epaminondas.
"Siamo venuti qui per scherzare un pò," spiegò Henri, "l'Ouellé è un bel posto, ma in quanto a divertimento..."
"Ah sì?" si interessò Epaminondas, aspettando una spiegazione che non venne.
"Per il momento," si intromise André, "non voglio dire, mi sembra che se la stia spassando."
"Ecco, ricomincia," disse Anna indicando Legrand.
"E vero," disse Henri, "fai una faccia strana. Cerchi una parola?"
"No," rispose Legrand, "rifletto, ecco tutto."
"Finalmente," commentai sottovoce.
"Sono arrivati dei sauri a Leopoldville?" chiese Jojo, ma nessuno gli rispose.
"Questa conversazione mi interessa," disse Legrand malizioso, "non mi annoio, anzi."
"Allora, dove eravamo rimasti?" chiese Epaminondas.
"Al quaternario," rispose il barista.
"Mi pare che eravamo arrivati a qualcosa di più recente," disse Legrand sempre malizioso, guardando Anna.
"Anche a me," disse Anna.
"Allora?" chiese Jojo.
"Niente," rispose il barista, "a sua volta l'uomo sparirà."
"Come mi piacciono i coglioni," disse Epaminondas, guardando incantato Jojo.
"Sono dei bombardieri, i sauri?" chiese Jojo.
"Lascia perdere," fece Legrand, continuando a guardare Anna, illuminato.
"Ma i sauri sono arrivati o devono arrivare?" insisté Jojo.
"Potrebbero arrivare tra poco," ripetei.
"Siamo daccapo," disse Henri al barista, "io comincio a stufarmi."
"L'uomo non è un sauro," commentò di colpo Legrand, "è ben diverso, furbo, l'uomo. Quando si trova male da qualche parte, va a ripiantare le tende in un altro posto. Non è mica un sauro, lui..."
"E i sauri, chiese Jojo, "non ripiantano niente?"
"Niente," fece André. "Capito?"
"Siamo davvero daccapo," commentò Henri, esasperato.
"Bisogna pur parlare di qualche cosa, eh?" fece Legrand ad Anna. "Meglio parlare di questo che dire male del prossimo."
"Perché dovremmo sparire per forza," chiese Jojo, "dato che ripiantiamo tutto quello che mangiamo?"
"Perché la terra è come il resto, come la pazienza; ha un limite. Ci sono voluti trenta milioni di anni, l'ho letto l'altro giorno sul giornale, per arrivare ad avere settantacinque centimetri di terra fertile per ogni uomo, allora, alla fine, hai voglia a ripiantar tutto quello che mangi, la terra non ne può più."
"Merda, è poco," esclamo Jojo.
"E' così," disse il barista.
"Capisco," fece Jojo. "Se i sauri non ripiantano niente sono dei coglioni."
"Ecco," disse il barista. "Hai afferrato il concetto."
"Di questo passo," osservò Henri, "settantacinque centimetri...è un miracolo se ci siamo ancora..."
"Hai visto i tedeschi quanti figli fanno?" chiese l'amico.
"Liberi di farli," ribatté Henri.
"Bisognerebbe che la gente fosse più informata," osservò Anna.
"Un altro cognac," ordinò Henri. "L'ultimo."
"Perché l'ultimo?" chiese Legrand. "Non siamo a Leopoldville tutti i giorni."
"E' vero," osservò Henri, "come ci si diverte!"
"Non dobbiamo rattristarci," disse Anna a Epaminondas, "non è detto che spariremo."
"Lei è stranamente graziosa," disse Legrand ad Anna.
"Perchè stranamente?"
"Così, per dire. Non credevo."
"Con la bomba atomica, saremo spacciati molto prima," continuò Henri che chiaramente non aveva seguito il discorso.
"Prima di che?" chiese Jojo.
"Prima che la terra non ne possa più," gli suggerì Epaminondas.
"Seicento, ne hanno fabbricate," disse Henri, "quanto basta a farci saltare in aria dieci volte."
"Strano," osservò il barista, "anche partendo dall'era glaciale, si torna sempre alle bombe atomiche. Come se fosse una legge."
"Io," disse Jojo, "vengo qui perché c'è André, che è intelligente."
"Allora, le piace il posto?" chiese Legrand ad Anna.
"Niente male," rispose Anna.
"Come se non ci fossero abbastanza catastrofi naturali," continuò Henri, "senza andare a cercare la bomba atomica."
"Mi prendete in giro," disse Jojo. "Il sauro è il nuovo aereo a reazione."
"Merda e merda," gridò Henri, "e dagliela con i sauri."
"Come mi piacciono i coglioni," ripeté Epaminondas, scoppiando a ridere.
"Se me lo dite, una buona volta, cos'è un sauro," implorò mortificato Jojo, "non ve lo chiedo più."
"E' una specie di coccodrillo," rispose André. "Ora hai capito?"
"Mi prendi per scemo? ribatté Jojo. "Sono atomici i coccodrilli, per caso?"

(da "Il Marinaio di Gibilterra" di Marguerite Duras ed. Feltrinelli.)