26/06/2003

lo zen e l'arte di qualcos'altro

Decisamente turbato dalla totale assenza di qualità del servizio clienti di Telecom Italia, voglio proporvi un brano su cosa si dovrebbe intendere per qualità del servizio.
E' tratto da di R. Pirsig "Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta" (ed.: Adelphi).

Un tempo questo atteggiamento veniva bollato come pignolo (cioè sfigato).
Ora potrebbe venire qualificato Zen (cioè alla moda), ma rimane sempre merce rara.
Eccovi il brano ed un mio commento di 3 anni fà.

"Mi tolgo un guanto coi denti e tasto la copertura laterale del motore. E’
alla temperatura giusta. Troppo calda per lasciarci la mano ma non
tanto da bruciarmi. Lì, tutto a posto.
Con un motore raffreddato ad aria come questo, un surriscaldamento
eccessivo può provocare un grippaggio. Questo motore ne ha avuto
uno…tre, a dire il vero. Lo controllo di quando in quando come
controllerei un paziente che ha avuto un attacco di cuore, anche se
sembra guarito.
In un grippaggio i pistoni si dilatano a causa del calore eccessivo,
diventano troppo grandi per le pareti dei cilindri e si bloccano; certe
volte fondono e inceppano il motore e la ruota posteriore, facendo
sbandare la moto. La prima volta che questa moto grippò, finii con la
testa all’altezza della ruota anteriore e col mio passeggero quasi in
groppa. A circa cinquanta all’ora la moto si liberò e ricominciò ad
andare, ma io mi fermai fuori strada per vedere dov’era il guasto. Il mio
passeggero ebbe solo la bella pensata di chiedermi: "Si può sapere
cosa ti ha preso?".
Alzai le spalle confuso quanto lui, e rimasi lì a fissare la moto con le
macchine che ci sfrecciavano accanto. Il motore era talmente caldo che
l’aria intorno tremolava e il calore si sentiva a distanza. Tornammo pian
pianino verso casa, accompagnati da un rumore nuovo, un battito che
stava ad indicare che i pistoni non tenevano più ed era necessaria una
revisione.
Portai la moto da un meccanico perché non mi sognavo nemmeno di
occuparmene personalmente; avrei dovuto imparare tutta una serie di
dettagli complicati e forse mi sarebbe toccato ordinare i pezzi di
ricambio e degli attrezzi speciali; una perdita di tempo enorme, quando
potevo benissimo farlo fare a qualcun altro in meno tempo – in un
modo o nell’altro avevo lo stesso atteggiamento di John.
Dal meccanico tirava un’aria diversa dal solito. I meccanici, che un
tempo mi erano sembrati dei vecchi veterani, adesso erano come
bambini. C’era una radio accesa a tutto volume e i ragazzi facevano i
pagliacci e chiacchieravano senza dar segno di notare la mia presenza.
Quando finalmente uno di loro si decise a rivolgermi la parola, senza
neanche notare il battito del pistone disse: "Eh sì, qui sono le punterie".
Punterie? Avrei dovuto capire subito cosa mi aspettava.
Due settimane dopo pagai un conto di centoquaranta dollari, guidai la
motocicletta con cautela a diverse velocità sempre basse per rodarla
un po’ e, dopo millecinquecento chilometri, la spinsi al massimo. A circa
cento all’ora grippò di nuovo e si sbloccò scendendo a cinquanta,
esattamente come prima. Quando la riportai all’officina, i meccanici mi
accusarono di non averla rodata come si deve, ma dopo una lunga
discussione acconsentirono a darle un’occhiata. Revisionarono di nuovo
il motore e questa volta andarono loro stessi a provarla su strada a
velocità sostenuta.
Così grippò mentre la guidavano loro.
Dopo la terza revisione, due mesi dopo, sostituirono i cilindri, inserirono
dei getti maggiorati nel carburatore, ritardarono l’accensione perché
viaggiasse più fredda possibile, e mi raccomandarono di non forzare
troppo il motore.
La moto era coperta di grasso e non partiva. Scoprii che le candele non
erano collegate, e le collegai, misi in moto, e adesso il rumore di
punterie c’era davvero. Non le avevano registrate. Glielo feci notare e il
ragazzo arrivò con una specie di chiave a rullino troppo aperta e
prontamente smussò i coperchi in lamiera delle punterie rovinandoli
entrambi.
"Spero che ce ne siano degli altri in magazzino" mi disse.
Annuii.
Il ragazzo tornò armato di un martello e di uno scalpello e incominciò
ad allentare i coperchi, pestando grandi colpi. Lo scalpello perforò la
lamiera d’alluminio e mi accorsi che stava picchiando direttamente sulla
testata. Al colpo successivo mancò lo scalpello e colpì la testata con il
martello, staccando di netto due alette di raffreddamento.
"Lasci perdere" dissi gentilmente, con la sensazione di vivere in un
incubo. "Mi dia delle calotte nuove e basta. La prendo così com’è".

fine prima parte (continua...)