11/02/2004

La casa

And love
Love will tear us apart
Again

Tear. Tear mi manda un saluto. Una cara ragazza con qualche problema d’amore.

Anche Erica mi saluta, una cantante di Milano che studia a Bologna, probabilmente al dams.
Guarda caso Erica abita in via Vasco de Gama, a 200 metri da casa mia.
Non avrei mai pensato che i palazzi di via Vasco de Gama potessero ospitare degli artisti.
Fino a ieri li trovavo così artificiali, avendoli visti nascere, loro e la via Vasco de Gama, dal nulla.
Lì prima c’erano solo terreni incolti, fitti di sterpaglie, e “La Valle”, una vasta buca erbosa, forse una cava abbandonata, dove noi bambini andavamo a giocare a pallone.
Via Vasco De Gama non esisteva, non esisteva il mostruoso centro delle imposte che ora sorge a fianco del campo di calcio - almeno “La Valle” continua nella sua funzione – e non esisteva la via Cristoforo Colombo.
Quei luoghi erano la mia prateria dove cavalcavo dandomi pacche sul sedere, che era il sedere del cavallo, con un copricapo di cartone e penne ed arco e frecce sempre più perfezionati, prima costruiti con rami d’acacia, poi coi più flessibili rami di salice.
La sua finestra guarda il passaggio a livello piccolo, è quello della vecchia via del pane, che serpeggiava in mezzo a queste campagne ed arrivava fino alla Bertalia e Pescarola, terre oltre confine, che mi furono proibite fino al raggiungimento della maggiore età di 10 anni.

E la mia vecchia casa mostra, come il sottoscritto, sempre più i segni degli anni.
A poco vale l’essere figlio di un muratore,
A poco vale che mi abbiano costruito a pochi passi la più grande ferramenta di Bologna,
La vista della crepa sotto la scala non mi ha smosso.

Me l’ha mostrata il mio vicino, 80 anni suonati ma, dopo essere rimasto vedovo di una moglie biliosa e sofferente di ogni male, alla quale sapeva sempre rispondere sorridendo, da un anno è a ballare ogni venerdì sera alla Casa Gialla, una vecchia casa colonica, ora centro per gli anziani, sopravissuta all’abbraccio di Via Vasco de Gama, e spesso è assente per una crociera o per altre gite sociali.

Domenica mattina, mentre prendevamo le misure dei consumi d’acqua per fare il conto della divisione delle bollette, mi dice, con la sua solita noncuranza: “Hai visto quella crepa sotto la scala? Dev’essere stato il terremoto”
L’ho guardata e ho detto, desolato: “Bisognerà rifare la scala”
“Ma no !” e aprendo la porta del sottoscala “vedi, basta far mettere un trave di ferro qui e si ferma la crepa”.
Fosse stato più giovane l’avrebbe fatto lui; quante volte li ho visti insieme, lui e mio padre, arrampicati sulle pareti di casa a fare piccoli e grandi lavori di manutenzione.
L’occasione sarebbe propizia, in fondo anche senza questa crepa, da tempo questa scala reclama un intervento. La ringhiera che da bambino usavo per scendere giù, fare le scale era troppo banale, a salire le facevo sì, ma dall’esterno della ringhiera; la ringhiera, dicevo, è mangiata dalla ruggine e in alcuni punti si è già distaccata dal muro; mia moglie reclama da tempo un rifacimento ed una copertura di scala e terrazza.
Quindi domenica sera sono andato a dormire col fermo proposito di cercare, all’indomani, il numero di telefono del muratore che l’anno prima, già che si trovava a fare lavori nella casa confinante, ingaggiai per rifare il mio camino e dare una sistemata al tetto.
Poi arriva il lunedì e sei sopraffatto dal pensiero di vederti ad inseguire muratori, fabbri, geometri.
E speri che il tutto regga ancora per qualche anno.

Buongiorno Erica, Buongiorno Tear.

5AM